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Fortunato Depero: los sonidos de los signos
Figura relevante del futurismo italiano, Fortunato Depero es conocido, sobre todo, por su época pictórica y gráfica. Menos conocida es su producción "literaria" que se expresó en forma de "partituras gráficas".
Fascinado por las dificultades, pero también por el sentido del humor de estas páginas, Loris Pellegrini intenta ofrecer al público "los sonidos de los signos", tal como declara el título de esta performance, devolviendo el sonido a las letras, fragmentos de palabras, frases inacabadas, onomatopeyas con las que Depero ha jugado "futurísticamente". Además de las páginas de Depero, se interpretarán las de otros autores futuristas como Marinetti, Cangiullo o Balla.
Non c’è un cane
Laboratorio sul teatro futurista sintetico
Ciò che rende difficile la comprensione dell’eccezionale ventata di novità portata dal Futurismo nell’asfittico ambiente teatrale italiano degli inizi del XX secolo è che ciò che leggiamo nelle antologie poco o nulla ha a che vedere con la loro rappresentazione scenica. Se la pagina a volte è sufficiente a restituire graficamente certe sperimentazione sul “segno” (lettere, parole) non può far altro che suggerire il “suono” della sperimentazione linguistica e solo lasciare immaginare cosa possa essere in scena ciò che il testo drammaturgico annota sulla pagina. E “Dalla pagina alla scena” sarebbe potuto essere il titolo di questo laboratorio sul “teatro futurista sintetico” ‒ probabilmente la sperimentazione più interessante tra quella proposte dal futurismo italiano ‒; se abbiamo scelto il titolo di una pièce di Cangiullo (Non c’è un cane, 1915) è perché aggiunge alla provocazione del testo (non c’è…), quella della durata (pochi secondi) e quella del titolo appunto (è la frase che gli attori borbottano, di solito, sbirciando dal sipario la sala semivuota). Quanto a quello che ci proponiamo è proprio di sottoporre alcune “piccole” pièce futuriste al trattamento della “messa in scena”, provando cioè il passaggio dalla situazionescritta alla situazione agìta. Scopriremo che il testo drammaturgico è come un seme: dentro c’è l’albero ma bisogna “tirarlo fuori”. Ci proveremo.
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